Si stima che gli utenti unici di smartphone siano ormai più di quattro miliardi, ovvero, più della metà della popolazione mondiale, neonati inclusi. Dal 2007 a oggi ne sono stati venduti più di 17 miliardi. Secondo le ultime stime, gli utenti dello smartphone interagiscono col dispositivo in media dalle 4 alle 5 ore al giorno, un dato in costante crescita, dedicando circa i tre quarti di questo tempo alle “app” di social media e messaggistica. Si stima, inoltre, che entro il 2025 circa il 75% degli accessi a Internet avverranno esclusivamente tramite smartphone.
La diffusione planetaria, l’enorme numero di funzionalità, il consistente uso medio quotidiano, le notevoli conseguenze del suo uso in quasi tutti gli ambiti e il fatto che il suo possesso sia diventato pressoché obbligatorio (un fatto che andrebbe maggiormente discusso) rendono lo smartphone la macchina per eccellenza di questa parte del XXI secolo. Eppure, pochi hanno chiaro non solo come funziona, ma anche chi materialmente lo produce, con quali materie prime e componenti e in quali parti del mondo, chi ne progetta le varie parti, come viene distribuito, come viene smaltito, che impatto ha sulla salute (fisica e psicologica) delle persone, sulla cultura, sull’informazione, sulla democrazia, sull’ambiente. Infine, ancora meno persone capiscono poi chi ha potere sullo smartphone, chi ne decide le funzionalità e gli sviluppi futuri, chi controlla quali dati vengono raccolti, dove vengono spediti e come vengono utilizzati.
Il quadro che emerge analizzando da più punti di vista lo smartphone è quello di un dispositivo straordinariamente affascinante e utile, ma allo stesso tempo estremamente opaco e infedele. È inevitabile che sia così? Certamente no. Oltre al fatto che concentrare così tante funzionalità su un unico dispositivo rende la nostra società più fragile (e che renderlo obbligatorio lede la dignità delle persone), un altro smartphone, ugualmente utile, ma molto più rispettoso dei lavoratori, dell’ambiente e degli utenti è senz’altro possibile.